La speranza, “l’unico farmaco del quale non possiamo fare a meno”: l’editoriale di Mario Melazzini su “Avvenire”

La malattia come simbolo di “una vera e propria medicina” che consenta di ragionare su “ciò che è possibile fare piuttosto che quello a cui non si è più in grado di ottemperare”: è il messaggio di speranza che Mario Melazzini affida alle pagine di “Avvenire”, in un editoriale di riflessione su quanto la malattia possa insegnare per cominciare un percorso nuovo.
“A volte può succedere che una malattia che mortifica e limita il corpo, anche in maniera molto evidente, come è successo a me dopo avere ricevuto la terribile diagnosi di Sclerosi laterale amiotrofica, possa invece rappresentare una vera e propria medicina per chi deve forzatamente convivere con essa senza la possibilità di alternative”: scrive così Mario Melazzini raccontando l’evento della malattia da lui vissuto in prima persona, che descrive come “una linea incancellabile nel percorso di Vita”. Ma tale esperienza, per quanto rappresenti “una serie di Colonne d’Ercole superate le quali ci è impossibile tornare indietro”, è al tempo stesso grande maestra per capire appieno che “l’essere conta di più del fare”, come sottolinea nella sua riflessione: “La malattia non è una cosa buona, non è auspicabile, ma è, ed è ciò che io chiamo l’imprevisto. Mi ha insegnato alcune cose importanti, su tutte quella di non dare mai nulla di scontato”.
Lo sguardo del medico e ricercatore si rivolge inoltre al passato, verso quella grande passione per la montagna, mai attenuata, e punto di partenza dell’editoriale: “Scrivo traendo riflessione dalle montagne che circondano Livigno, dove mi trovo. Il sole che ogni tanto spunta tra le nuvole mi ricorda che finirà anche questa lunga notte di privazione di contatti umani imposti dal Covid”. Quegli stessi costoni risaliti tante volte, con grande tenacia e la “bellissima sensazione di arrivare in cima con le mie braccia e le mie gambe e il ristoro di quell’acqua fresca”. Ma la Vita – quella descritta da Mario Melazzini con la lettera maiuscola – non era solo questo: “L’Essere conta di più, più del fare, più del fare qualsiasi cosa fino a quando c’è ancora altro da fare”, racconta, aggiungendo “ero un medico, ricercatore, docente, ero Mario. La malattia poteva portarmi via la mia professione, che era la mia passione?”.
La risposta è racchiusa ancora una volta nelle sue parole di speranza: “Mario è rimasto, con il suo amore per la scienza, la sua ostinata avversione per la resa. La malattia ha lasciato a Mario la possibilità di potere vedere con un altro sguardo i pazienti. La Vita è una questione di sguardi. E ho cominciato un nuovo percorso, che mi rendesse utile”. Il riferimento è al grande impegno portato avanti nell’ambito della ricerca e della sanità, oltre che nell’amministrazione e nella gestione della cosa pubblica: “L’ho fatto e lo faccio perché venga garantita la reale e concreta risposta alla domanda di salute”, uno sforzo compiuto quotidianamente e che rappresenta un “grande stimolo per tutti”. “Questo mi rende consapevole, soddisfatto sì”, prosegue nell’editoriale, “ma con la voglia di andare sempre oltre, sempre dalla parte del paziente, dei suoi bisogni. E tutto ciò è terapeutico, anche e soprattutto per me”.
Riflettendo inoltre su come sia inaccettabile “avallare l’idea che alcune condizioni di salute rendano indegna la vita e trasformino il malato o la persona con disabilità in un peso sociale”, Mario Melazzini conclude l’editoriale ribadendo che sentirsi utili è “l’unico farmaco del quale non possiamo fare a meno” perché la Vita “può davvero divenire testimonianza della pienezza dell’essere, del sentire e allo stesso tempo essere un ponte che permette a pieno titolo di sentirsi vivi, con una meravigliosa e inguaribile voglia di vivere”.

Per leggere l’editoriale completo:
https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/io-disabile-e-non-scarto-cammino-con-la-speranza